È un elemento investigativo molto forte che l’aggressione ad Albano Crocco sia avvenuta nei pressi dell’abitazione del nipote Claudio Borgarelli. Questo però lascia un dubbio: "Come poteva pensare Borgarelli di uccidere lo zio in quei modi, tempi, situazioni e luoghi e pensare di farla franca? Sapeva che sarebbe stato il primo sospettato e che le attenzioni si sarebbero concentrate su di lui a tutti i livelli. Si può pianificare l’omicidio del proprio zio nei pressi della propria abitazione e sperare di farla franca?"
Attendere la vittima o seguirla, spararle alla spalle, decapitarla, manipolarla, toccarla, trasportarla via, buttarne il cadavere nel burrone è un’attiva lunga e complessa che lascia sull’assassino tracce del tipo balistico, biologico ed ematico, merceologico, comportamentale e fisico. Il trasporto presuppone un complice e/o un mezzo e una notevole forza fisica.
Gli inquirenti hanno puntato il nipote, ritengo che sia meglio guardare verso tutte le direzioni perché se il nipote è innocente ci si avvia verso un altro omicidio irrisolto.
Il caso può essere risolto studiando a fondo la scena del crimine, la vittimologia, i reperti, gli orari e la situazione, le testimonianze e tutte le tracce, elementi che allo stato dei fatti non conosciamo e che conoscono – in parte – solo gli inquirenti.
Il metodo criminoesecutivo della decapitazione deve essere valutato sotto gli aspetti strumentali e di modus operandi delle possibilità e delle capacità dell’esecutore, delle sue tendenze e competenze tecniche criminali, dei bisogni intimi e segreti che egli ha voluto gratificare attuando proprio la decapitazione. Questo metodo uccisorio ha diversi significati simbolici-omicidiari-punitivi, sia a seconda dell’arma, della religione, dell’etnia e dello stato psichico dell’uccisore, sia dello stato della vittima (se prigioniero, se nemico in battaglia, se fuggiasco, se vittima attesa e/o caduta in trappola), sia della punizione che si vuole infliggere alla vittima e del messaggio che si vuole lanciare ai famigliari della vittima ed alla società.
Il killer era consapevole che decapitare la vittima e trasportarne il corpo gli faceva allungare i tempi esecutivi e di rischio, ma ha dovuto farlo altrimenti non avrebbe raggiunto quella gratificazione intima che cercava proprio con la decapitazione.
Per ora possiamo dire che l’assassino di Albano Crocco è un soggetto spietato, primitivo e crudele, attrezzato con fucile ed arma di decapitazione – attenzione, non pensiamo solo all’arma tipo machete, può essere una mannaia, un coltello, una katana o similari perché potremmo depistarci - , è un soggetto conoscitore del territorio, non anziano, forte fisicamente, scattante, determinato e motivato. Un soggetto esperto di caccia, nell’uso del fucile e dell’arma bianca da taglio, conoscitore del territorio e dell’ambiente.
È un soggetto rabbioso, che ha voluto/dovuto firmare l’omicidio con la decapitazione della vittima e lo sbarazzamento del corpo tramite precipitazione in un burrone (sicurezza di sé, autoaffermazione e disprezzo verso la vittima). Un soggetto in preda a una vendetta ossessiva compulsiva, un soggetto parzialmente organizzato, rituale e ossessionato, che aggredisce, ferisce, decapita, uccide, trascina il corpo per buttarlo via come eliminazione della zavorra, che porta via la testa come trofeo, che lascia un messaggio di morte, di terrore e di mistero.
Il modus operandi del killer presenta tratti professionali e tratti impetuosi. Tratti professionali in quanto il killer era attrezzato logisticamente per la disattivazione della vittima tramite il fucile, per la sua decapitazione e per il trasporto, tratti d’impeto perché ha lasciato tracce biologiche e papillari di sé, tracce del tipo psicologico quali vendetta, odio traboccante, rabbia esplosa, fortissima motivazione del tipo personale.
La vendetta non è necessariamente contro Albano Crocco come tale, può anche essere una vendetta del tipo simbolico “A chi tocca tocca”, cioè “vittima indiscriminata” a opera del "missionario giustiziere", quindi contro i cacciatori profanatori della natura e della fauna, oppure contro gli infedeli, contro un’etnia particolare: ancora non escludo nulla, il quadro è ancora troppo ampio. Claudio Borgarelli merita di essere attenzionato perché aveva movente, opportunità, capacità, possibilità e stanzialità nell’esecuzione del crimine, però, come già detto, si deve guardare verso tutte le direzioni. Però bisogna tenere conto della firma psicologica (la gratificazione ottenuta dal soggetto ignoto tramite questo modo di dare la morte ed auto affermarsi), del modus operandi violento, spietato e professionale, delle poche accortezze nel non lasciare tracce di sé.
È molto importante che il soggetto ignoto non abbia messo in posa la vittima e che non abbia composto la scena, bensì ha scelto e gradito buttarla via con profondo disprezzo appropriandosi della sua testa, come trofeo per rivivere il delitto, per collezionismo, in segno di sfregio e di esaltazione del proprio potere, per messaggio simbolico alla popolazione, ai media ed agli inquirenti.
Di fatto ha spersonalizzato la vittima togliendole l’identità, oltraggiandola anche “oltre la morte”!
Qui realmente occorre lo studio analitico e sistemico del territorio, dei percorsi e delle tracce di qualunque tipo, dei tabulati telefonici e delle celle che hanno agganciato tutti i cellulari passati per la zona, le videocamere presenti sui vari tragitti, sulle farmacie, sui distributori di carburante et similia, le abitudini della vittima, per individuare e definire le opportunità godute dal killer, le sue possibilità esecutive e le sue capacità criminali.
Albano Crocco può essere stato atteso, appostato, oppure pedinato, o invece può essersi trovato sul punto sbagliato, nella situazione sbagliata e nel momento sbagliato.
Il killer, non si sa se una o più persone – lasciamo stare la deduzione che il killer debba essere una persona sola perché la vittima decapitata è stata trascinata in modo convulso tanto da farle perdere portafogli e cellulare (poteva accadere anche con più persone) -aveva con sé fucile ed arma da taglio, quindi era pronto a uccidere ed a decapitare ed ha obbedito all’istinto assassino, però ha lasciate di sé tracce biologiche e papillari e, probabilmente, anche comportamentali e telematiche (telefoniche, scontrini, video e visive di passaggio). Ha organizzato l’omicidio perché lo ha immaginato e fantasticato, ma non si è premunito di mettere in essere atti di autoconservazione per farla franca, per non lasciare tracciare di sé: per questo dico che è un killer “semiorganizzato o del tipo misto”.
Il movente potrebbe non essere del tipo diretto contro la vittima, ma proprio del tipo “a chi tocca”, e qui inquadriamo il profilo di un killer del tipo giustiziere missionario, che ha subito un crollo psicotico, che obbedisce alla slatentizzazione dell’istinto assassino “grazie” a ideologia perversa unita al crollo psicotico. In questo contesto non ha scelto la vittima per un movente del tipo diretto contro questa, ma solo perché Crocco è stato sfortunato.
Il crollo psicotico è un momento di rottura molto forte che il soggetto ignoto ha potuto subire nella sua storia personale, sino a cadere nel baratro dell’obbedienza totale agli istinti omicidi. Nella fattispecie può essere associato ad eventi di natura traumatica, quali violazioni della dignità personale e dell'integrità del corpo del soggetto ignoto, oppure a un evento fortemente stressante (fattore di stress) che giunto a un accumulo enorme e intollerabile ha fatto l’aggressività con un modus operandi semiorganizzato e violento. Organizzato nell’agire il crimine, ma non nel depistare.